Stiamo vivendo un evento storico e, soprattutto, un evento di grande impatto emotivo sul quale vorrei saper scrivere. Le immagini dell'incontro a Castel Gandolfo tra il Santo Padre Francesco e il suo predecessore Benedetto XVI di sabato ne sono state compendio indimenticabile.
Oggi ho letto un articolo che, dicendo mmeglio di quanto saprei fare io ciò che più mi ha colpita, mi ha commossa... voglio condividerlo con chi passa a leggere.
Due uomini in bianco inginocchiati davanti a una Madonna Nera: è la prima e
forse ultima immagine indelebile di qualcosa che il mondo non aveva
neppure osato pensare possibile.
Ed è l’immagine indelebile della successione fra successori viventi
di Pietro. Nella pace e nella serenità di una storia che sta finendo e
di un’altra appena cominciata senza scismi, traumi, sferragliare di
spade, lotte di re e imperatori, abbiamo assistito al passaggio umano,
non formale, fra un vecchio ex Papa in vita e uno nuovo. Alla
resurrezione di un potere spirituale che i fedeli credono trascendente,
ma che ieri si è incarnato in quelle due figure tanto diverse e tanto
identiche.
Come sempre e come tutto quello che vediamo e ascoltiamo da quell’undici
febbraio scorso quando Benedetto XVI restituì il commissum, l’impegno
che il Conclave gli aveva assegnato, ci si deve affidare alle immagini
per capire l’enormità di quanto il popolo dei cristiani cattolici, e il
resto del mondo con loro, sta vivendo. Nella mancanza di un lessico
adeguato, di parole che raccontino questa storia che non ha spartito né
storiografia, va letto ogni gesto, anche il più minuto, perché si carica
di significati. Racconta dettagli che divengono enormi e nuovi nella
impossibilità di raffrontarli a esperienze già vissute o viste, “terra
incognita” nella quale anche i due grandi vecchi in bianco si sono
addentrati ieri per la prima volta insieme.
Deve essere allora la suggestione di quella parola «tenerezza », che
Papa Francesco ha ormai indelebilmente associato al proprio pontificato
come un sigillo, ma proprio questo era il sentimento che prendeva
vedendo la figura ormai eterea, di candela consunta, di Joseph Raztinger
muovere passi da bambino, verso lo stesso elicottero che lo aveva
portato dal Vaticano a Castel Gandolfo, poggiato all’ormai
indispensabile bastone. Quel bastone che aveva orgogliosamente respinto
nei suoi ultimi passi eretti e svelti da Papa prima di decollare da
Roma, che molto dovettero essergli costati.
Non erano certamente superbia né freddezza, ma una fragilità che abbiamo
visto aggravata anche nelle appena due settimane dall’arrivo al
Castello, la sua incapacità di piegarsi per ricambiare l’abbraccio e il
bacio del successore.
Bergoglio si è dovuto sporgere verso di lui, come il figlio che va a
trovare il padre stanco in casa di riposo e sa che ogni movimento sembra
poterlo spezzare, ogni momento insieme può essere l’ultimo. Si dovevano
osservare le mani dei due, quelle robuste e forse un filo gonfie
dell’argentino e quelle magrissime del tedesco, prima sulle spalle, poi
sulle braccia poi intrecciate insieme, a lungo, strette oltre il
cerimoniale, con l’anello cardinalizio del Vescovo emerito di Roma che
brillava al posto dell’anello del pescatore.
Un groviglio di malinconia
affettuosa, mentre Ratzinger ripeteva con i suoi aliti di voce fioca,
quell’ormai classico «krazie, krazie, krazie» al Vescovo di Roma in
carica, a Francesco, che comincerà l’incontro di quasi due ore dando del
«lei» al predecessore e lo finirà con il «tu».
Come tra “fratelli”.
Il diverso modo di comunicare con il mondo dei due, quella loro
“radicale convergenza”, come l’ha riassunta la rivista dei Gesuiti,
Civiltà Cattolica,
avrebbe poi trovato nella preghiera dentro la cappella privata del
palazzo papale, di fronte alla riproduzione della Madonna Nera di
Czestochowa voluta da Pio XI, la manifestazione più delicata e insieme
simbolica. Nella cappella, i cerimonieri avevano preparato la poltrona e
l’inginocchiatoio per il Papa, solo imperiosamente di fronte all’altare
e all’immagine, che se l’avesse usata avrebbe lasciato il non più Papa
alle sue spalle. Ma Francesco l’ha rifiutata, come ha respinto anche
l’invito di Ratzinger a entrare per primo nel banco, per mostrarsi
“fratello”, per mettersi spalle a spalle con l’altro. Francesco dalle
larghe spalle sotto la mozzetta riservata al Papa in carica, Benedetto
non più tale stretto nel “lupetto” imbottito bianco, per proteggere le
proprie spallucce da quell’aria sempre un po’ gelida che permane dentro i
castelli a fine primavera.
La transizione delle chiavi di Pietro è avvenuta in quella sequenza,
sotto lo sguardo di una Madonna che non aveva, neppure Lei, mai visto
niente di simile.
Il figlio era diventato il padre e il padre suo figlio, soli, dopo che
l’arcivescovo Georg Gänswein, nella funzione di reverendissimo
sacrestano per loro, aveva chiuso i battenti della porta della cappella,
e assicurato i fermi perché non si spalancasse per caso sulla loro
devozione. Ci piacerebbe sapere per cosa abbiano pregato, il Papa e il
non Papa, quali intenzioni, e paure, e miracoli abbiano chiesto, come
vorremmo sapere che cosa c’è dentro quel cofanetto bianco che Ratzinger
ha consegnato a Francesco e che era stato messo, ostentatamente, sul
tavolino fra di loro, perché lo vedessimo.
Non c’era alcuna necessità di mostrare quello scatolone, che senza il
bianco pontificale non sarebbe stato molto diverso da un qualsiasi box
per traslochi o da quei cartoni che gli angeli cacciati dai falsi
paradisi di Wall Street si portavano via, con i rottami delle loro vite
dentro. Ma anche questo oggetto, piantato fra l’ex Papa, seduto sulla
poltrona dura a schiena alta e rigida per supportarlo meglio, e il nuovo
Papa, più comodo su un divanetto imbottito, sporto in avanti, a gambe
larghe, come in una conversazione qualsiasi fra amici, raccontava la
volontà di una transizione umanissima, quasi burocratica, fra
l’amministratore delegato dallo Spirito Santo e dai cardinali al
successore, che con quella brutta contabilità dovrà, ora, vedersela lui.
Pregando molto la Madonna che ha regalato al padre malato prima di
salutarlo, la Vergine dell’Umilità. Un’altra di quelle intuizioni che
stanno già rendendo Francesco amatissimo, e la più difficile, l’umiltà
del potere.
Da La Repubblica del 24/03/2013.