Un
articolo del Corriere della Sera, data 4 settembre, a firma di Gianantonio Stella e Sergio Rizzo, mi ha fatto "conoscere" tal Gianfranco Piazzesi, giornalista e scrittore italiano, anzi toscano.
Come giornalista si occupò soprattutto di cronaca politica, partecipò alle grandi inchieste sull' Italia, fece servizi all' estero. Quando Montanelli fondò il suo Giornale lo portò con sé come inviato e commentatore, conoscendo il suo stile e, soprattutto, la sua onestà intellettuale. Forse anche perchè era un toscanaccio come lui...
Come scrittore pubblicò libri i cui titoli possono ancora risvegliare interesse per la loro attualità, almeno in chi voglia capire il Paese che viviamo:"I soldi in Paradiso: cronache della prossima Italia", "Gelli, la carriera di un eroe di questa Italia", "Il gioco della politica" e "La caverna dei sette ladri", tanto per citare quelli che maggiormente mi hanno incuriosita.
In questo ultimo, sosteneva che in Italia c'era un buco nero, «un mistero padre di tutti gli altri misteri»... e io cambierei solo il tempo del verbo: in Italia
c'è.
L'articolo che ho letto cita - e non potevo non esserne orgogliosissima - ciò che Piazzesi pensava dei Friulani: «popolo di emigranti plasmati con sapienza dal parroco: fatti apposta dal buon Dio per rifornire la comunità nazionale di muratori, di carabinieri e di domestiche. Un popolo che risolveva molti problemi e non ne creava nessuno».
Eravamo proprio così... e qualche germe di questa umiltà e di questo orgoglio è ancora presente in taluni ma si sa, la globalizzazione...
Forse il momento nel quale maggiormente ci siamo fatti conoscere, in Italia e nel Mondo, è stata la terribile occasione del terremoto del 1976. Anzi, dei terremoti giacchè la terra tremò forte non solo la sera del 6 maggio ma anche l'11 settembre, alle 8:31 e alle 18:40, (a prima delle due scosse fu di 5.8 gradi della scala Richter) e il 15 settembre, prima poco dopo le 5 del mattino e poi alle ore 11:30 (scosse di oltre 10 gradi della scala Mercalli).
Tutto quello che era rimasto ancora in piedi dopo il 6 maggio, crollò definitivamente. Ma non l'orgoglio di questo "
popolo duro", anche se la definizione è riservata più propriamente ai Carnici.
Regione testarda, ci definirono, perchè volevamo dare "di besoi", da soli, senza assistenzialismo e, di conseguenza, senza clientelismi e favoritismi.
L'articolo del CdS rappresenta proprio questo orgoglio raccontando un episodio, che per esperienza personale so non essere stato che UNO:
«E cumò ce ajo di paja?». Così disse la vecchia terremotata, sotto gli occhi di padre David Maria Turoldo. I soccorritori le avevano appena consegnato un paio di coperte e dei viveri e lei voleva sapere: «E adesso cosa devo pagare?». Spiegava il frate poeta che lì c'era il senso di tutto: «Una ricostruzione, per essere vera, perché sia segno di civiltà e abbia un valore, non può essere regalata. Una ricostruzione si paga e basta: allora ha un valore. Una cosa si deve fare con le proprie mani, allora la si ama». Quindi «è bene che non ci sia dato nulla in regalo».Certo, lo Stato è intervenuto facendo ciò che gli compete e molti Paesi stranieri collaborarono volontariamente alla nostra ricostruzione. Ma - mentre a L'Aquila si continuano a travisare i fatti e a raccontare di "miracoli" che non ci sono - io penso sempre alla mia gente, alle facce dei bimbi nelle tendopoli, alle lacrime subito nascoste per i 989 morti ... e alle scritte sui muri feriti delle case:Vogliamo restare qua!
Io AMO questa gente che è vissuta per secoli a schiena china sotto gioghi come le occupazioni o le guerre, ma sempre a testa alta. P.S.: delle ore 20:30 circa...
Oggi sul CdS, con le stesse firme, un
articolo sulla situazione conseguente un altro terremoto: quello delL'Aquila, con il titolo
«La città in briciole che ha paura di perdere l'identità
».
Mi inorgoglisco a riportarne un trafiletto:
Certo, lassù in Friuli c'era una Regione a statuto speciale che aveva qualche agilità e potere in più. Che rivendicò subito la volontà di gestire tutto autonomamente. Qui è più complicato. Fatto sta che l'8 maggio 1976, trentacinque ore dopo il sisma, la Regione Friuli aveva già la sua prima legge.