Come post post-pasquale stavo giusto pensando di fare un sondaggio su dove finiscono le sorprese, sorpresine e sorpresone che si celano dentro le uova pasquali.
Già avevo ben chiare in mente le bacheche domestiche dove fanno mostra di sè giochi strabilianti, che non temono di star vicini alle classiche serie di pupazzetti dei quotidiani ovetti...
Invece no.
Mi lascio suggestionare da un argomento di tutt'altra specie... ma, secondo me, non fuori periodo se consideriamo il significato liberatorio della Pasqua.
L'argomento è: da quali condizionamenti mi lascio sottomettere?
Per esempio, la moda...
Possibile che nessuno dica che i pantaloni vita bassa o bassissima sono belli solo se si sta rigorosamente in piedi, con la schiena ben diritta?
Ancora, ma gli stivali 4stagioni calzati a piedi scalzi provocano o no problemi di convivenza?
Senza dimenticare, ma voler essere sempre fuori-dal-coro è un'ossessione o una schiavitù?
Insomma, la parola libertà, così usata e abusata, ha ancora un senso?...
Per rendere l'idea della prigionia, nuova foto del mio Momore, modello "recluso"...
... e un omaggio a un grande uomo: Primo Levi...
che sulla vera libertà nel suo libro "Se questo è un uomo" scrive così:
«Quell’uomo doveva essere duro, doveva essere di un altro metallo del nostro, se questa condizione, da cui noi siamo rotti, non ha potuto piegarlo. Perché anche noi siamo stati rotti, vinti: anche se abbiamo saputo adattarci, anche se abbiamo finalmente imparato a trovare il nostro cibo e reggere alla fatica e al freddo, anche se ritorneremo. Abbiamo issato la menaschka sulla cuccetta, abbiamo fatto la ripartizione, abbiamo soddisfatto la rabbia quotidiana della fame, e ora ci opprime la vergogna».
... e un omaggio a un grande uomo: Primo Levi...
che sulla vera libertà nel suo libro "Se questo è un uomo" scrive così:
«Quell’uomo doveva essere duro, doveva essere di un altro metallo del nostro, se questa condizione, da cui noi siamo rotti, non ha potuto piegarlo. Perché anche noi siamo stati rotti, vinti: anche se abbiamo saputo adattarci, anche se abbiamo finalmente imparato a trovare il nostro cibo e reggere alla fatica e al freddo, anche se ritorneremo. Abbiamo issato la menaschka sulla cuccetta, abbiamo fatto la ripartizione, abbiamo soddisfatto la rabbia quotidiana della fame, e ora ci opprime la vergogna».